joseph&bros

JOSEPH & BROS
uno spettacolo di
Alessandro Berti
dal testo Giuseppe e i suoi fratelli di Ignazio De Francesco
in scena Alessandro Berti, Savì Manna e Francesco Maruccia
cura Gaia Raffiotta
assistente alla regia Caterina Baldini
direzione tecnica Massimiliano Ferrari
immagini Daniela Neri
una produzione Casavuota
con il sostegno di Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto / Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna / Fondazione 2000 / AvoC
e con il patrocinio del Comune di Pianoro

In una cella di un carcere italiano, tre uomini. Un vecchio siciliano ex sicario di mafia, un giovane magrebino incastrato per droga e un uomo di mezz’età, forse ebreo, misterioso e colto, in galera per un raptus. Che cosa lega, che cosa divide, questi tre uomini che vengono da sponde diverse del Mediterraneo e si trovano a dovere espiare, in una cella minuscola, delitti tanto diversi?
Scritto di prima mano da un esperto di carcere e Medio Oriente, Ignazio De Francesco, adattato alla scena da Alessandro Berti, al terzo capitolo del sodalizio trai due (dopo i fortunati Leila della Tempesta, 2017 e Simeone e Samir, 2019), questo Joseph & bros spariglia le carte degli stereotipi, squarcia il velo dell’oggi per parlare di antiche fraternità mediorientali, di fedi e identità problematiche, di responsabilità da prendersi, come soggetti, di doveri di verità storica. E parla di tutto questo usando la costrizione carceraria come cartina al tornasole della società tutta, come acceleratore di sentimenti, di idee, di conflitti, coi quali i tre dovranno infine fare i conti.
La storia biblica, e coranica, di Giuseppe e i suoi fratelli è il sottofondo simbolico della vicenda, il nodo mitico delle possibilità e difficoltà di una fraternità mediterranea. E questa antica storia di difficile convivenza (il tentato omicidio, il rapimento e la vendita come schiavo di un fratello) ispirerà i giochi di ruolo dei tre detenuti, in una cella che diventa sineddoche e metafora dei territori palestinesi di oggi divisi da un muro, giochi di fratellanza da tentare, da riprendere dopo ogni fallimento, giochi che l’obbligatorietà della convivenza in cella rende estremi, necessari, e giochi dei quali il più sorprendente, e per loro appassionante, sarà la formazione di una vera e propria folk band carceraria, a cui i tre detenuti daranno vita, chiamandosi proprio Joseph & Bros e accompagnando i capitoli della vicenda fino a un vero e proprio piccolo concerto finale.
La tecnica scenica, come sempre nei lavori di Berti, è un rigoroso lavoro d’attore che nulla concede all’istrionismo e al compiacimento. Azzerata le scenografia, come in cella, ci sono i corpi in carne e ossa di tre maschi, con i loro odori, le loro movenze, le loro voci, uomini segnati ma non vinti. Una semplicità registica che esalta il lavoro dell’attore e fa parlare il testo, lasciando al pubblico tutti i semi di riflessione e emozione da sgranare poi a casa, a lungo.

“Il testo mette in scena la confluenza di tre mondi, apparentemente lontani per provenienza etnica, religiosa, culturale e sociale, ma che trovano un punto d’incontro nello spazio minuscolo dei nove metri quadrati della cella, dove i tre trascorrono i lunghi anni di detenzione. Ahmad è un trafficante di stupefacenti, Salvo un killer di mafia, Gadi un assassino “per caso”. Poi c’è Samuel, assente sulla scena, ma con il quale i tre comunicano a distanza: un innocente tradito dai suoi più intimi, che paga per ciò che non ha commesso.
È una riflessione sulla fratellanza ferita, sulla violenza che nasce dal cuore dell’uomo (il maschio) e si riversa nella piccola storia delle relazioni personali e da lì nella Grande Storia del rapporto tra i popoli. Ancora, è una meditazione sulla possibilità di dare e ricevere il perdono, e da questo perdono, che è in definitiva ri-conoscimento dell’Altro, rinascere oltre il tradimento e la violenza. Il fondale è l’episodio biblico di Giuseppe e i suoi fratelli (Gn 37-45), ripreso dal Corano (sura 12) e oggetto di straordinari sviluppi nella letteratura ebraica, cristiana e islamica. La trama, gli eventi e i dialoghi sono frutto di un’elaborazione originale ma che si è basata su un intenso lavoro di documentazione, attraverso scambi con persone detenute o ex-detenute (Alessandro, Catia, Fabrizio, Franco, Giovanni, Joseph, Luciano, Max, Samad, Vincenzo) e su dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, in particolare Tommaso Buscetta, Rosario Trubba e Maurizio Prestieri. Infine, su colloqui privati con esperti del mondo del carcere: Nadia Assueri, Giancarlo Bregantini, Adolfo Ceretti, Diana Gran Dall’Olio, Maria Inglese, Maurizio Millo, Germana Verdeoliva.”
Ignazio De Francesco