UN CRISTIANO
opera a voci scritta e interpretata da alessandro berti
una produzione casavuota
con il sostegno di teatro delle ariette, valsamoggia (bo) / fondazione carisbo, bologna / i teatri del sacro, roma / associazione ca’ rossa, bologna
immagini stefano vaja
organizzazione gaia raffiotta
grazie a caterina bombarda, alessandra deoriti, caterina fornasini, francesco giraldo, maurizio sangirardi
“Che pace queste montagne stasera. Com’è dolce la salita, non la sento. E com’è lieve lo sforzo sul pedale, come mi costa poco adesso! Ah! Poter essere una lepre, uno scoiattolo, vivere dentro il silenzio del bosco…Essere prete non è una via di mezzo, esige santità, promette gioia: l’hai scritto tu Giovanni, ti ricordi? Sì, però lepre, scoiattolo, albero…”
La storia di Giovanni Fornasini è una pagina luminosa di resistenza civile. Parroco di Sperticano di Monte Sole (Marzabotto) dal 1942 al 1944, questo pretìno trentenne, fisicamente esile e non particolarmente brillante negli studi in seminario, diventa in pochi mesi l’angelo di Marzabotto, secondo la definizione che ne diede la popolazione. Instancabile sulla sua bici nera, Fornasini passa l’ultimo anno della sua vita tra mediazioni col comando tedesco per la liberazione di civili, aiuti alla brigata partigiana Stella Rossa, tra cui anche la fornitura di un grande nascondiglio sotto l’altare maggiore della chiesa, accordi con gli alleati per far passare il fronte a soldati paracadutati oltre le linee, fino agli ultimi mesi e settimane, quando le SS attaccano i civili a Monte Sole in quella che è stata la strage nazifascista più sanguinosa in territorio italiano: 800 morti di cui 200 bambini. Don Giovanni seppellisce corpi, toglie dai cappi i cadaveri di partigiani lasciati pendere a monito, si arrabbia: coi tedeschi che gli hanno invaso la canonica, forse finanche con Dio a un certo punto, per poi abbandonarsi al suo destino fino in fondo, salendo di sua volontà a Monte Sole, nei giorni successivi al rastrellamento e lì trovando la morte in circostanze non chiarite (ma l’esame della salma fa pensare a torture e a un’esecuzione finale, in una probabile collaborazione tra SS e squadre fasciste).
Mi sono basato interamente su fatti storici documentati e il racconto riguarda quello che è accaduto in Valle del Reno dall’estate del 1943 all’autunno del 1944: l’arrivo di sfollati da Bologna (maggio ’43), il bombardamento di Lama di Reno (luglio ’43), il rastrellamento di civili a Montasico come rappresaglia per le azioni partigiane (agosto ’43), l’esplosione del treno a Marzabotto (settembre ’43), la sepoltura di un partigiano ucciso (autunno ’43), l’uccisione del commissario prefettizio sempre a Marzabotto (marzo ’44), fino ai giorni della strage di Monte Sole (29-30 settembre ’44).
Alessandro Berti
Dicono di Un Cristiano
“Si sale la scala di un portone nel vecchio centro di Bologna. Marmo, cotto, ferro battuto. Si entra in un appartamento all’ultimo piano. Qui Alessandro Berti recita la storia di don Giovanni Fornasini, il parroco trucidato dai nazisti nella strage di Monte Sole, un atto di guerra contro i civili che solo negli ultimi anni ha acquistato contorni storiografici e umani più precisi. Si viene accolti. Si entra in uno stanzone ingombrato da un tavolo con sopra pochi elementi, tra i quali spicca una zimarra, traccia di un corpo assente. In Un cristiano don Fornasini apparirà attraverso le parole di Berti, con tutto il suo mondo pastorale, con tutto l’amore per il suo gregge, con la fatica, l’accoglienza degli sfollati, le trattative estenuanti con i tedeschi per salvare anche solo una persona, le salite in bicicletta per raggiungere le frazioni più sperdute di una montagna piena di frazioncine e casolari, il dialogo rassicurante con i timori della madre, dei vicini, degli altri parroci. Non è un monologo questo: è un concerto di voci, una polifonia, la ricostruzione di mondo di vita e fatica quotidiana in cui irrompe la violenza, ricostruito attraverso l’espressione incantata, compresa, accigliata, preoccupata, incalzante, fredda, appassionata dell’attore, che dà vita al protagonista, al coro che lo circonda, agli avversari, ai tedeschi, con la loro lingua tagliente come lama, che porta paura, morte, e il prete deve studiare le contromosse, addobbare la faccia con un sorriso, con un pretesto, con una giustificazione. (…) Alessandro Berti, allargando lo sguardo alla storia, una storia ‘umile’, già narrata ma non troppo, ancora tutta da interpretare, ritrova una propria ispirazione in chiave di teatro essenziale, che potremmo definire francescano, necessario, stringente, entusiasmante per noi che guardiamo, un dialogo serrato con il pubblico, nel quale risveglia domande profonde attraverso il veicolo, reinventato, del monologo. Da non perdere, nella Casavuota Resistente di via San felice 39 a Bologna o dovunque lo replichi.”
Massimo Marino, Doppiozero http://www.doppiozero.com/materiali/resistenza