LEILA DELLA TEMPESTA
uno spettacolo di alessandro berti
dal libro omonimo di ignazio de francesco
con sara cianfriglia e alessandro berti
una produzione casavuota
con la collaborazione di UNEDI roma / associazione ca’ rossa bologna / i teatri del sacro roma / edizioni zikkaron reggio emilia
e l’aiuto di caterina bombarda e maurizio sangirardi
“Certe volte mi viene paura di impazzire. E il tempo qui non passa mai.
Passerà. Più in fretta di quel che immagini.
Mi sembra di non essere stata libera mai.
Lo sarai, all’improvviso. Un giorno ti chiameranno e sarai fuori. Sarà magari di sera, di notte. Ho visto gli occhi di chi usciva più smarriti, più angosciati di quando è entrato. Ti troverai su una strada, con due sacchi di plastica in mano. Non è facile Leila. Malgrado tutta la tua buona volontà di uscire fuori dal giro. Senza nessuno che ti aspetta. Nessun aiuto, nessun progetto. Solo quel mondo che ti ha portata dentro sembra tenderti la mano, ancora, sempre. In Italia tanti tornano dentro, dopo poco. In altri posti è diverso, ti accompagnano. E dentro non ci ritorni, ce la fai. Ma qui da noi è dura. La vita sembra che ti spinga a perderti, poi ti punisce per quello a cui ti ha spinta.
E questa punizione sarebbe giustizia?
No. Forse no.”
Dentro il carcere di Bologna, da anni, ha luogo un progetto prezioso di dialogo coi detenuti stranieri a partire dalle loro radici culturali e religiose. Cominciato da Pier Cesare Bori e portato avanti da Ignazio De Francesco, questo dialogo scommette sull’importanza, per il detenuto, di una presa di coscienza della propria cultura di provenienza, come chiave per un recupero della persona attraverso la pena.
I fatti degli ultimi anni, con le carceri come luoghi di veloci radicalizzazioni, di vocazioni artefatte, segrete e orchestrate da reclutatori senza scrupoli, danno ragione a quest’opera profetica di Bori.
Nel libro di De Francesco, Leila della tempesta, che racconta quattro anni di incontri coi detenuti e le detenute di lingua araba, emerge proprio il rapporto con una di loro, Leila, una ragazza tunisina. In questa relazione tra il volontario (monaco cristiano e islamologo) e la detenuta (musulmana e di una religiosità popolare) vengono a galla alcuni temi forti, che appassionano entrambi: la fede religiosa, il rapporto tra legge sacra (sharìa) e costituzione italiana (ma anche la nuova costituzione tunisina, l’unica che la Primavera Araba ha partorito), il senso della detenzione come momento fondamentale per cercarsi e ritrovarsi invece che come intermezzo di noia sedata.
Quando Ignazio mi ha detto (nella prospettiva di portare in teatro questo testo): fanne quello che vuoi, ho cominciato a seguire le tracce essenziali, anche segrete, del rapporto tra Leila e l’Altro (così De Francesco si definisce nel libro). Ho potato il testo (e lo ringrazio per avermelo lasciato fare) di rami che, dal punto di vista drammaturgico, avrebbero appesantito i dialoghi di preoccupazioni apologetiche, così come ho espunto quelle parti che mi sembravano necessarie a un discorso culturale ma poco credibili dal punto di vista della coerenza psicologica dei personaggi. Quel che ne è uscito è un dialogo essenziale, denudato, che pur dando conto dell’origine dichiaratamente sociale e culturale del testo, provasse a tradurre nel linguaggio della relazione teatrale la forza e la sincerità disarmanti della relazione tra queste due persone. Ovviamente sto esagerando: la scrittura di De Francesco ha una grande generosità narrativa, popolare e carnosa, dunque anche artistica, così come chi scrive ha qualche interesse in campo civile e religioso, ma insomma: la partita tra me e Ignazio si è giocata su questo fronte, con poi l’inserimento fondamentale di Sara Cianfriglia, che ha fatto suo in maniera personale e autorevole il personaggio di Leila. Ne è uscita, per noi, un’esperienza bellissima, che speriamo sia di qualche interesse anche per voi.
Alessandro Berti
Dicono di Leila
“Lo spettacolo vive mirabilmente del racconto, ma soprattutto di piccoli scarti, di ‘primi piani’ dell’anima, di invenzioni minimali, che precipitano lo spettatore col fiato sospeso in una bellissima, aspra vicenda di incontro umano.”
Massimo Marino, CORRIERE DI BOLOGNA, 21 maggio 2017
“Chi, come in Dustur, partecipa alla scrittura di una propria costituzione immaginaria, non è più carcerato ma libero. Chi, come in Leila della Tempesta, esplora tutte le sfaccettature (anche le più critiche) dello scontro-incontro fra culture, si afferma come soggetto sino in fondo. E allora si scopre che il Sacro può manifestarsi anche nell’impegno tutto laico di fare comprendere e far risaltare la dignità della persona, la concretezza dei diritti, la tensione verso il bene comune, il valore della religione. Sacra, in ultima analisi, è l’idea stessa del patto costituzionale fra esseri umani per una società equa. Sacro è il primato della coscienza individuale senza fondamentalismi.”
Marco Politi, IL FATTO QUOTIDIANO, 9 giugno 2017
“È un susseguirsi continuo di sfumature, confessioni e pentimenti, restituito da Sara Cianfriglia con un’immedesimazione sempre vigile e commovente, alla quale fa da controcanto il sofferto autocontrollo di Alessandro Berti nel ruolo dell’Altro, in un perfetto equilibrio di forte resa poetica.”
Alessandro Zaccuri, AVVENIRE, 10 giugno 2017
“Berti è in giacca nera e agisce per mezzo di una recitazione asciutta, netta; come d’altronde è affilatissima anche quella di Sara Cianfriglia (nei panni di Leila), senza retorica, affettazione o inutili ampollosità. Si muovono su una piattaforma rialzata, al centro un tavolo e due sedie, nessuna musica riempie i silenzi, nessun contrappunto registico ci salva dallo scandire del tempo.”
Andrea Pocosgnich, TEATRO E CRITICA, 16 giugno 2017
“Procede così, senza assoluti capaci di resistere alle ragioni dell’altro, questo testo nato nel segno di un’apertura fattiva, che in quanto tale non finge di dar soluzioni ma testimonia e pone domande, lasciando chi ascolta con un groviglio di dubbi e la consapevolezza di quanto sia lento e difficile il processo di integrazione.”
Alessandra Bernocco, DRAMMA.IT, 18 giugno 2017
“Nel parlatorio di un carcere italiano, attorno a un tavolo, una detenuta tunisina, Sara Cianfriglia, e un volontario italiano, Alessandro Berti, parlano di religioni, forse contrapposte, di costituzioni democratiche e primavere arabe. E’ un dialogo semplice, a volte aspro, ma che apre porte (spesso saldamente chiuse) per scoprire orizzonti diversi, mescolati a dubbi e nuove domande.”
Mario Bianchi, KRAPP’S LAST POST, 22 giugno 2017
“Il rapporto teso tra i due è un’avventura di diffidente conoscenza umana, resa benissimo oltre che con le parole attraverso i silenzi, gli sguardi, i dinieghi, i gesti segnati di Sara Cianfriglia, i bagliori e gli offuscamenti dei suoi occhi, e la pazienza maieutica di Alessandro Berti, sempre un tono indietro, come un pedagogo che fa dell’ascolto il suo segreto.”
Massimo Marino, DOPPIOZERO, 27 luglio 2017
“In uno spazio minimale, Alessandro Berti e Sara Cianfriglia sono figure esatte e complementari: Leila la detenuta, l’Altro l’assistente spirituale; Leila un fiume in piena di parole e accalorata espressione, l’Altro in ascolto sottile; Leila indurita, l’Altro incoraggiante. I due personaggi sono intessuti di pause e controtempi, variazioni di posture e micro-azioni. Parallelamente la regia (dello stesso Berti) articola una magistrale alternanza di vuoti e pieni, moto e quiete, parola e silenzio, estroflessione e ripiegamento introspettivo. Leila della tempesta è un minuscolo, appartato, semplice, consolante capolavoro. Dire grazie, almeno.”
Michele Pascarella, HYSTRIO, dicembre 2017